Il monoblocco non è un termine moderno. La storia del monoblocco inizia alla fine degli anni Sessanta come “sistema” di serramento con la falegnameria Rosada e le officine Secco. La grande novità era rappresentata dalla preparazione di un falsotelaio metallico da consegnare preventivamente in cantiere al momento della posa dei davanzali in marmo e prima della fase di intonacatura. Questo telaio serviva da guida per l’intonaco come definizione della precisione della misura “luce architettonica” e al momento opportuno riceveva l’applicazione dei serramenti e delle persiane avvolgibili – scuri. In questo modo si escludeva totalmente la difficoltà del muratore a eseguire la posa di elementi distaccati gli uni dagli altri (rulli e supporti, guide per avvolgibili, angolari per serramento, cassetta porta-avvolgitore) rispettando scrupolosamente le misure architettoniche. Era comunque necessario predisporre la spalletta di muratura per poter inserire al suo interno il volume stesso del falsotelaio. In quegli anni si ignorava completante il concetto di “ponte termico” per cui il monoblocco rappresentò in ogni caso una grande evoluzione nel sistema di applicazione dei serramenti che permise un notevole abbattimento dei costi di posa in opera dei manufatti.

All’inizio degli anni Ottanta il problema dei ponti termici sui cassonetti e sulle spalle laterali venne finalmente affrontato ed eliminato in buona parte mediante la sostituzione dei profili metallici da premurare sotto l’intonaco con un prodotto consistente in una schiuma di poliuretano gettata a stampo tra due profili di alluminio collegati tra di loro da una lastra di cemento misto a fibre di spessore 3 mm. Tale prodotto richiedeva comunque una particolare attenzione in fase di schiumatura dovendo essere lavorato ad una temperatura e ad un’umidità precise e costanti, condizioni particolarmente onerose da rispettare. La particolare lavorazione della materia prima richiedeva impianti e ambienti REI 120 e particolari procedure di sicurezza. La necessità di stagionatura del prodotto schiumato rallentava la capacità di produzione aumentandone ulteriormente i costi. La complessità del processo produttivo costituì il limite per cui il pioniere venne superato da competitors con prodotti diversi e sostanzialmente più performanti. Il cassonetto era quindi composto dal 77% di argilla espansa, dal 22,5% di poliuretano espanso e ossido di ferro al 0,5%.
argilla espansa